sabato 11 febbraio 2012

Pirati? no, grazie...


Il diritto d'autore e l'uso della musica su filmati, siti internet, radio e televisione sono argomenti complessi e dai molteplici aspetti. Non sorprende il fatto che pochi, anche tra gli addetti ai lavori, sappiano quali permessi e autorizzazioni ottenere e a chi richiederle. Non parliamo poi di chi si trova per la prima volta ad affrontare questo problema che appare come un vero e proprio ginepraio.

Cercherò di dare qualche informazione di base per "togliere la benda dall'occhio" e fare un po' di luce sull'argomento.

Per prima cosa, mentre tutti sanno che esiste il diritto d'autore (tutelato in Italia dalla SIAE), pochissimi sono a conoscenza del fatto che esistono altri diritti (detti diritti connessi) che vanno assolti prima di utilizzare un brano musicale.

Il diritto d'autore tutela chi detiene la proprietà intellettuale dell'opera musicale, ovvero gli autori e gli editori della stessa. Ogni volta che un brano musicale viene eseguito in concerto, in televisione, su internet o in qualunque altra occasione pubblica va riconosciuto ai titolari del brano il "diritto di esecuzione musicale". Se il brano viene registrato su un qualsiasi supporto (CD, DVD, HD e simili) va riconosciuto il "diritto di riproduzione meccanica".

Oltre a questi diritti esistono i diritti di sincronizzazione e i diritti di master, che appartengono ai proprietari delle registrazioni che vengono utilizzate e agli interpreti.

Facciamo un esempio: si vuole utilizzare per un filmato il brano "O sole mio" cantato da Pavarotti. Bisogna pagare i diritti d'autore a Giovanni Capurro (autore del testo), a Eduardo Di Capua e Alfredo Mazzucchi (autori della musica) e all'editore Bideri, e questi diritti vengono pagati alla SIAE (e dalla SIAE agli aventi diritto). Ma non è finita qua… bisogna anche pagare i diritti di master alla casa discografica che ha pubblicato il disco che si utilizza e a Pavarotti che l'ha eseguita. Normalmente è la stessa casa discografica che si occupa di esigere questi diritti e di ricompensare gli interpreti. Ovviamente se la canzone la canto e la registro io stesso non ci sono problemi…

Quindi attenzione! Una volta pagata la SIAE non abbiamo assolto a tutti i nostri obblighi. Occorre ottenere anche una specifica licenza dal produttore discografico della registrazione che stiamo utilizzando.

Presto un altro post sull'argomento.

domenica 15 gennaio 2012

"Capire" la musica

Ho letto un'interessante discussione su un gruppo legato a LinkedIn che si chiama "AMC - Amanti di musica classica". La discussione verte sulla domanda: Che cosa significa "capire" un brano musicale? C'erano tanti interventi, alcuni di essi molto interessanti, tra cui anche uno di Andrea Frova, fisico illustre e studioso e appassionato di musica, autore tra l'altro del saggio "Armonia celeste e dodecafonia", che consiglio a tutti.

Pubblico qui il primo dei due interventi che ho scritto sulla discussione, sperando di stimolare delle riflessioni da parte di chi legge.
 
Trovo molto interessante la discussione, che tocca inevitabilmente materie diverse seppur collegate tra di loro. Indubbiamente la familiarità che un ascoltatore non "specifico" riconosce in una composizione di natura armonico-tonale è maggiore rispetto all'ascolto di una composizione non tonale, e anche l'adattamento culturale di cui l'uomo è capace richiede tempi eccessivi, se pensiamo che è passato un secolo dalle prime composizioni siffatte. Per fare un esempio, la coerenza interna di un brano costruito con forma canonica (o imitativa in generale) è molto più riconoscibile in ambito tonale rispetto alla stessa tecnica applicata, come del caso della dodecafonia "classica", in ambiti diversi. Anche in casi complessi, come canoni retrogradi o inversi, in cui non si percepisce esattamente la struttura, si ha un senso di ordine strutturale che ne permette la fruizione e il godimento nell'ascolto, mentre non si può dire lo stesso per composizioni dodecafoniche che trattano la serie nello stesso modo. Lo stesso si può dire per composizioni pre-tonali. Si ascolta con più smarrimento un mottetto di Ockeghem o uno dei cinque pezzi per orchestra di Webern?

mercoledì 28 dicembre 2011

Autolesionismi: diploma o laurea?

Negli ultimi giorni mi è capitato di leggere, in un forum dedicato all'educazione musicale italiana, un'interessante discussione.

Si commentava un recente decreto legge del Senato in cui, tra le altre cose, i legislatori stabiliscono che il diploma di conservatorio del vecchio ordinamento sia equivalente (anzi "equipollente", in burocratichese) alla laurea di secondo livello. A chi vive fuori dalle logiche scolastico-amministrative la cosa può non dire molto. Appare invece molto significativa per chi ha frequentato o frequenta i conservatori italiani.

Da qualche anno (sei o sette) nei conservatori sono stati introdotti dei corsi "sperimentali", paralleli a quelli tradizionali e destinati nelle intenzioni a sostituirli, strutturati secondo la logica dei corsi universitari. Ovvero divisi in un triennio e in un biennio, al termine dei quali si ottiene rispettivamente un titolo equivalente alla laurea di I (triennio) o di II (biennio) livello.


Per accedere al triennio si deve sostenere un esame di ammissione, mentre per accedere al biennio si deve essere in possesso di un diploma vecchio ordinamento. E qui, come si suol dire, casca l'asino.
Se, con il nuovo decreto, il diplomato vecchio ordinamento è a tutti gli effetti un laureato di II livello, perché dovrebbe affrontare un nuovo biennio di studi (al di là di un giustificabile desiderio di approfondimento) per… avere lo stesso titolo? E quelli che l'hanno già fatto? Naturalmente parliamo di diritti acquisiti riguardanti la possibilità di accedere all'insegnamento e non di titoli necessari per una carriera artistica nella quale, oltre alla formazione accademica (utile ma non strettamente indispensabile), contano il talento individuale e altri fattori.

Nel merito dell'argomento, trovo che sia stato sbagliato prima equiparare un diploma vecchio ordinamento solo ad una laurea di I livello, e bene ha fatto il legislatore a correggere l'anomalia, ma comprendo anche lo sconcerto di chi, fidandosi della nuova normativa, ha frequentato (pagando anche caro…) il biennio per ritrovarsi con un titolo ad oggi identico a quello che aveva prima, insomma un doppione.

Quello che però mi ha sconcertato, però, non è tanto il pressappochismo delle leggi (purtroppo ci siamo abituati), quanto i toni del forum in cui, tranne alcuni interventi pacati, si va dal dileggio all'insulto reciproco vero e proprio tra gli stessi "forumisti", non solo studenti ma anche insegnanti di conservatorio!

Ho l'impressione che si tratti, come al solito, di una "guerra tra poveri", in cui ognuno pensa al proprio orticello e vede l'altro come un possibile nemico, e nella quale il rancore e la frustrazione si sostituiscono al confronto costruttivo. Ci vuole molto a dire che è stata una giusta correzione di un'evidente anomalia e che sarebbe adesso corretto riconoscere un "di più" a chi ha frequentato anche il biennio? A me sembra solo buonsenso, e spero che il legislatore intervenga in questo senso.

Ma finché tra musicisti (e in Italia in generale) ci sarà questo clima, temo che le nostre prospettive, in relazione a ciò che accade nel resto del mondo, siano ben povere!

Voi che ne pensate?

giovedì 1 dicembre 2011

Economia del dono e popoli primitivi (seconda parte)


Nella prima parte di questo post ho elencato dieci domande che un gruppo di seicento autori ed editori ha sottoscritto in un appello pubblico a favore del diritto a ricevere un compenso per l'utilizzo della musica sul web. Voglio aggiungere qualche riflessione personale.

Tutti siamo d'accordo, senza che nessuno trovi da obiettare, sul fatto che sia giusto pagare una cifra per assistere ad uno spettacolo teatrale, o ad un film al cinema, o che per esempio si paghi una cifra per vedere la televisione come si fa per il canone RAI o SKY o per Mediaset (tramite la pubblicità, anche se indirettamente). Non arrivo a scomodare l'opportunità dell'onorario di un medico, di un avvocato o del compenso dell'idraulico o del falegname.

Perché allora molti trovano ingiusto pagare per ascoltare un brano di musica scaricandolo da internet, addirittura farneticando di censura e di morte della "libertà digitale"?

Secondo Sapo Matteucci della SIAE, "la tesi è che, nel contesto digitale, dovrebbe fiorire una non meglio specificata “economia del dono”, senza pensare che l’affascinante concezione antiutilitaristica era attribuita da Mauss ai cosiddetti “popoli primitivi” svincolati dalla complessità del mondo attuale. A voler essere coerenti, “l’economia del dono” dovrebbe toccare poi tutte le relazioni-transazioni umane, e non solo il lavoro intellettuale, a cominciare magari da quelle legate alla conoscenza: perché un professore dovrebbe essere compensato per il suo lavoro e non donare semplicemente quel che sa? Internet, invece, gode d’un’aura sacrale che inibisce i governi, rende prudenti i commentatori, esalta i “nativi” digitali, navigatori indefessi, che non vedono come proprio nella rete convergano stratosferici interessi economici (altro che doni!) coagulati nella maggiore concentrazione monopolistica della storia del capitalismo. In questo quadro, il povero diritto d’autore, quello che dovrebbe far campare autori e industria culturale, diventa il capro espiatorio secondo cui se si pagano i diritti si uccide la democrazia".

Il compositore (che non necessariamente si chiama Zucchero o Morricone) trae il suo guadagno dai proventi della sua opera, e se non gli si pagano i diritti non si fa altro che impoverire un settore già tartassato dalle inique leggi che tagliano i fondi dello spettacolo.

E' un problema culturale o economico? Il "perché" o il "quanto"?

Vi invito a dire la vostra, ogni opinione è ben accetta.

mercoledì 23 novembre 2011

Economia del dono e popoli primitivi (prima parte)

Certi di sollevare un polverone, vogliamo pubblicare un appello che 600 autori ed editori hanno sottoscritto a luglio per chiedere maggior tutela del diritto d'autore in rete.

Spiegherò il titolo nel prossimo post, intanto aspetto i vostri commenti...


1. Perché il diritto d’autore, che fuori dalla rete è riconosciuto, in rete non deve essere remunerato?

2. Perché coloro che criticano il provvedimento Agcom non criticano anzitutto il furto della proprietà intellettuale? Perché impedire la messa in rete di proprietà intellettuale acquisita illegalmente dovrebbe essere considerata una forma di censura?

3. Perché dovrebbe risultare ingiusto colpire chi illegalmente sfrutta il lavoro degli altri?

4. Perché si ritiene giusto pagare la connessione della rete, che non è mai gratis, ed ingiusto pagare i contenuti? E perché non ci si chiede cosa sarebbe la rete senza i contenuti?

5. Perché il diritto all’equo compenso viene strumentalmente, da alcuni, chiamato tassa? Perché non sono chiamate tasse i compensi di medici, ingegneri, avvocati, meccanici, idraulici, ecc.?

6. Perché Internet, che per molte imprese rappresenta una opportunità di lavoro, per gli autori e gli editori deve rappresentare un pericolo?

7. Perché nessuno si chiede a tutela di quali interessi si vuole creare questa contrapposizione (che semplicemente non esiste) tra autori e produttori di contenuti e utenti?

8. Perché dovremmo essere contro la libertà dei consumatori? Ma quale libertà? Quella di scegliere cosa acquistare ad un prezzo equo o quella di usufruirne gratis (free syndrome) solo perché qualcuno che l’ha “rubata” te la mette a disposizione?

9. Perché nessuno dice che l’industria della cultura occupa in Italia quasi mezzo milione di lavoratori e le società “over the top” al massimo qualche decina? E perché chi accusa l’industria culturale di essere in grave ritardo sulla offerta legale di contenuti, poi vuole sottrarci quelle risorse necessarie per continuare a lavorare e dare lavoro e per investire sulle nuove tecnologie e sul futuro?

10.Perché, secondo alcuni, non abbiamo il diritto di difendere il frutto del nostro lavoro, non possiamo avere pari dignità e dobbiamo continuare a essere “ figli di un Dio minore”?

martedì 15 novembre 2011

Tavole canoniche (prima parte)

Che cos'è un canone in musica? Un canone è una forma di imitazione per cui un tema viene ripetuto da una seconda voce, detta "conseguente" (ed eventualmente da una terza, da una quarta e così via...) in un tempo successivo alla prima, detta "antecedente". La ripetizione deve iniziare mentre la prima voce ancora esegue il tema.

Un classico esempio è la nota canzone popolare "Fra Martino".


L'imitazione canonica può avvenire in quattro combinazioni "base": retto, inverso, retrogrado, inverso del retrogrado.
Possiamo sintetizzare graficamente le quattro tecniche con:
b - p - d - q
come potete vedere, graficamente queste lettere rispecchiano il meccanismo spiegato qui sotto:

b - retto: il conseguente è identico all'antecedente
p - inverso: il conseguente inverte gli intervalli rispetto all'antecedente (se l'antecedente sale di un tono il conseguente scende di un tono)
d - retrogrado: il conseguente esegue l'antecedente partendo dall'ultima nota fino alla prima
q - inverso del retrogrado: il conseguente esegue l'antecedente partendo dall'ultima nota fino alla prima invertendone gli intervalli.

Oltre a queste combinazioni base esistono numerose varianti, relative alla durata delle note (canoni per aumentazione o per diminuzione), alla loro altezza (canoni traspositori), oltre a modalità particolari come canoni perpetui, a spirale ed enigmatici.


Il canone e le forme musicali da esso generate (ricercare, fuga) hanno vissuto un periodo di incredibile diffusione e sviluppo durante il periodo che va dal XV al XVII secolo, e i compositori fiamminghi scrissero meravigliose composizioni canoniche fino a 32 voci.
   
Come avete ascoltato nell'esempio precedente, Bach fu un maestro assoluto dell'arte canonica, e i suoi più grandi lavori (Offerta musicale, Variazioni Goldberg, Arte della Fuga e altri innumerevoli esempi) furono composti in gran parte con questa tecnica.

In un prossimo post entreremo più nel dettaglio della tecnica del canone.

venerdì 4 novembre 2011

Italia - Resto del Mondo

Qualcuno tra i lettori con i capelli grigi ricorderà le leggendarie partite di calcio, per lo più amichevoli, dal titolo epico e dal fascino irresistibile: Italia - Resto del Mondo oppure Italia - Resto d'Europa, in cui pareva che la supremazia del football internazionale si giocasse in un'unica, irripetibile occasione in cui si radunava nell'ettaro scarso del terreno verde il gotha mondiale o europeo dell'arte pallonara...


Il titolo di questo post deriva da quelle esaltanti serate, e dal confronto del clima musicale in Italia e nel Resto del Mondo. A questo proposito tutt'altro che esaltanti sono le considerazioni che scaturiscono dalla lettura di un sito molto interessante che vi invito a visitare: Film Music Magazine.


Il sito, in lingua inglese, tratta di musica per l'immagine (nel senso più ampio possibile) e riporta interviste, news e, cosa che ha attirato la mia curiosità, "FILM and TV MUSIC JOB LISTING", una lista di proposte di lavoro in cui si richiedono compositori di musica per film (di medio budget), per libri per bambini, per show televisivi, fino alla richiesta di musiche per library di PM (Production Music).


Il Resto del Mondo ha sete di musica, e il compositore, magari giovane e alle prime esperienze, ha modo di testare la propria abilità misurandosi con piccole e medie produzioni che gli danno una possibilità, uno spazio creativo con un compenso sacrosantemente riconosciuto.
E l'Italia? Che prospettive ha il giovane compositore che si affaccia sul mondo musicale italiano, magari della musica per l'immagine?