giovedì 1 dicembre 2011

Economia del dono e popoli primitivi (seconda parte)


Nella prima parte di questo post ho elencato dieci domande che un gruppo di seicento autori ed editori ha sottoscritto in un appello pubblico a favore del diritto a ricevere un compenso per l'utilizzo della musica sul web. Voglio aggiungere qualche riflessione personale.

Tutti siamo d'accordo, senza che nessuno trovi da obiettare, sul fatto che sia giusto pagare una cifra per assistere ad uno spettacolo teatrale, o ad un film al cinema, o che per esempio si paghi una cifra per vedere la televisione come si fa per il canone RAI o SKY o per Mediaset (tramite la pubblicità, anche se indirettamente). Non arrivo a scomodare l'opportunità dell'onorario di un medico, di un avvocato o del compenso dell'idraulico o del falegname.

Perché allora molti trovano ingiusto pagare per ascoltare un brano di musica scaricandolo da internet, addirittura farneticando di censura e di morte della "libertà digitale"?

Secondo Sapo Matteucci della SIAE, "la tesi è che, nel contesto digitale, dovrebbe fiorire una non meglio specificata “economia del dono”, senza pensare che l’affascinante concezione antiutilitaristica era attribuita da Mauss ai cosiddetti “popoli primitivi” svincolati dalla complessità del mondo attuale. A voler essere coerenti, “l’economia del dono” dovrebbe toccare poi tutte le relazioni-transazioni umane, e non solo il lavoro intellettuale, a cominciare magari da quelle legate alla conoscenza: perché un professore dovrebbe essere compensato per il suo lavoro e non donare semplicemente quel che sa? Internet, invece, gode d’un’aura sacrale che inibisce i governi, rende prudenti i commentatori, esalta i “nativi” digitali, navigatori indefessi, che non vedono come proprio nella rete convergano stratosferici interessi economici (altro che doni!) coagulati nella maggiore concentrazione monopolistica della storia del capitalismo. In questo quadro, il povero diritto d’autore, quello che dovrebbe far campare autori e industria culturale, diventa il capro espiatorio secondo cui se si pagano i diritti si uccide la democrazia".

Il compositore (che non necessariamente si chiama Zucchero o Morricone) trae il suo guadagno dai proventi della sua opera, e se non gli si pagano i diritti non si fa altro che impoverire un settore già tartassato dalle inique leggi che tagliano i fondi dello spettacolo.

E' un problema culturale o economico? Il "perché" o il "quanto"?

Vi invito a dire la vostra, ogni opinione è ben accetta.

2 commenti:

  1. Caro Antonio,
    Tuo post é molto interessante e ...complesso. Perche su queste domande oltre l'Italia, non mi pare che al internazionale hanno trovato delle soluzione...? Comunque seguiro tuo blog ..e perdonami i errori , non sono di madre lingua italiana :-D

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  2. Grazie Stefi per il tuo commento, è un argomento che mi sta molto a cuore perché da quello che leggo e ascolto in rete se ne sa poco e quel poco è condizionato da pregiudizi e disinformazione, soprattutto in Italia... già nel resto dell'Europa c'è una maggiore coscienza, speriamo che piano piano si comprenda anche qui che ad esempio scaricare musica "gratis" da internet è un furto, e che sono i contenuti che rendono interessante la rete...
    A presto!

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