Proseguiamo il ragionamento del precedente post e concentriamoci sul secondo aspetto del problema: individuare il senso della musica nel cinema che non "rappresenta" la realtà, ma "è" realtà, e mi riferisco al cinema documentario.
E' corretto, dal punto di vista est(etico), che la musica apporti quel "di più", quel contenuto emotivo ed esterno, che inevitabilmente crea nello spettatore suggestioni e condizionamenti al limite tra il consapevole e il subliminale? In questo caso la mano del musicista, o del regista che la sceglie e la applica, aggiunge una componente che in origine, nella realtà che si vuole rappresentare, non esiste. Ovviamente questo vale anche per le inquadrature e per il montaggio, ma questi sono elementi indispensabili e costitutivi del linguaggio utilizzato, e molto spesso "trasparenti" per lo spettatore. La musica, a causa della sua peculiarità percettiva, ha un impatto molto più profondo nell'immaginario dell'essere umano, e possiede una forza evocativa ed emotiva che può essere potente quanto e forse più della stessa immagine.
L'argomento è complesso e ne parleremo ancora; se avete delle opinioni al proposito, o esperienze personali, siamo curiosi di conoscerle.
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