mercoledì 28 dicembre 2011

Autolesionismi: diploma o laurea?

Negli ultimi giorni mi è capitato di leggere, in un forum dedicato all'educazione musicale italiana, un'interessante discussione.

Si commentava un recente decreto legge del Senato in cui, tra le altre cose, i legislatori stabiliscono che il diploma di conservatorio del vecchio ordinamento sia equivalente (anzi "equipollente", in burocratichese) alla laurea di secondo livello. A chi vive fuori dalle logiche scolastico-amministrative la cosa può non dire molto. Appare invece molto significativa per chi ha frequentato o frequenta i conservatori italiani.

Da qualche anno (sei o sette) nei conservatori sono stati introdotti dei corsi "sperimentali", paralleli a quelli tradizionali e destinati nelle intenzioni a sostituirli, strutturati secondo la logica dei corsi universitari. Ovvero divisi in un triennio e in un biennio, al termine dei quali si ottiene rispettivamente un titolo equivalente alla laurea di I (triennio) o di II (biennio) livello.


Per accedere al triennio si deve sostenere un esame di ammissione, mentre per accedere al biennio si deve essere in possesso di un diploma vecchio ordinamento. E qui, come si suol dire, casca l'asino.
Se, con il nuovo decreto, il diplomato vecchio ordinamento è a tutti gli effetti un laureato di II livello, perché dovrebbe affrontare un nuovo biennio di studi (al di là di un giustificabile desiderio di approfondimento) per… avere lo stesso titolo? E quelli che l'hanno già fatto? Naturalmente parliamo di diritti acquisiti riguardanti la possibilità di accedere all'insegnamento e non di titoli necessari per una carriera artistica nella quale, oltre alla formazione accademica (utile ma non strettamente indispensabile), contano il talento individuale e altri fattori.

Nel merito dell'argomento, trovo che sia stato sbagliato prima equiparare un diploma vecchio ordinamento solo ad una laurea di I livello, e bene ha fatto il legislatore a correggere l'anomalia, ma comprendo anche lo sconcerto di chi, fidandosi della nuova normativa, ha frequentato (pagando anche caro…) il biennio per ritrovarsi con un titolo ad oggi identico a quello che aveva prima, insomma un doppione.

Quello che però mi ha sconcertato, però, non è tanto il pressappochismo delle leggi (purtroppo ci siamo abituati), quanto i toni del forum in cui, tranne alcuni interventi pacati, si va dal dileggio all'insulto reciproco vero e proprio tra gli stessi "forumisti", non solo studenti ma anche insegnanti di conservatorio!

Ho l'impressione che si tratti, come al solito, di una "guerra tra poveri", in cui ognuno pensa al proprio orticello e vede l'altro come un possibile nemico, e nella quale il rancore e la frustrazione si sostituiscono al confronto costruttivo. Ci vuole molto a dire che è stata una giusta correzione di un'evidente anomalia e che sarebbe adesso corretto riconoscere un "di più" a chi ha frequentato anche il biennio? A me sembra solo buonsenso, e spero che il legislatore intervenga in questo senso.

Ma finché tra musicisti (e in Italia in generale) ci sarà questo clima, temo che le nostre prospettive, in relazione a ciò che accade nel resto del mondo, siano ben povere!

Voi che ne pensate?

giovedì 1 dicembre 2011

Economia del dono e popoli primitivi (seconda parte)


Nella prima parte di questo post ho elencato dieci domande che un gruppo di seicento autori ed editori ha sottoscritto in un appello pubblico a favore del diritto a ricevere un compenso per l'utilizzo della musica sul web. Voglio aggiungere qualche riflessione personale.

Tutti siamo d'accordo, senza che nessuno trovi da obiettare, sul fatto che sia giusto pagare una cifra per assistere ad uno spettacolo teatrale, o ad un film al cinema, o che per esempio si paghi una cifra per vedere la televisione come si fa per il canone RAI o SKY o per Mediaset (tramite la pubblicità, anche se indirettamente). Non arrivo a scomodare l'opportunità dell'onorario di un medico, di un avvocato o del compenso dell'idraulico o del falegname.

Perché allora molti trovano ingiusto pagare per ascoltare un brano di musica scaricandolo da internet, addirittura farneticando di censura e di morte della "libertà digitale"?

Secondo Sapo Matteucci della SIAE, "la tesi è che, nel contesto digitale, dovrebbe fiorire una non meglio specificata “economia del dono”, senza pensare che l’affascinante concezione antiutilitaristica era attribuita da Mauss ai cosiddetti “popoli primitivi” svincolati dalla complessità del mondo attuale. A voler essere coerenti, “l’economia del dono” dovrebbe toccare poi tutte le relazioni-transazioni umane, e non solo il lavoro intellettuale, a cominciare magari da quelle legate alla conoscenza: perché un professore dovrebbe essere compensato per il suo lavoro e non donare semplicemente quel che sa? Internet, invece, gode d’un’aura sacrale che inibisce i governi, rende prudenti i commentatori, esalta i “nativi” digitali, navigatori indefessi, che non vedono come proprio nella rete convergano stratosferici interessi economici (altro che doni!) coagulati nella maggiore concentrazione monopolistica della storia del capitalismo. In questo quadro, il povero diritto d’autore, quello che dovrebbe far campare autori e industria culturale, diventa il capro espiatorio secondo cui se si pagano i diritti si uccide la democrazia".

Il compositore (che non necessariamente si chiama Zucchero o Morricone) trae il suo guadagno dai proventi della sua opera, e se non gli si pagano i diritti non si fa altro che impoverire un settore già tartassato dalle inique leggi che tagliano i fondi dello spettacolo.

E' un problema culturale o economico? Il "perché" o il "quanto"?

Vi invito a dire la vostra, ogni opinione è ben accetta.