domenica 15 gennaio 2012

"Capire" la musica

Ho letto un'interessante discussione su un gruppo legato a LinkedIn che si chiama "AMC - Amanti di musica classica". La discussione verte sulla domanda: Che cosa significa "capire" un brano musicale? C'erano tanti interventi, alcuni di essi molto interessanti, tra cui anche uno di Andrea Frova, fisico illustre e studioso e appassionato di musica, autore tra l'altro del saggio "Armonia celeste e dodecafonia", che consiglio a tutti.

Pubblico qui il primo dei due interventi che ho scritto sulla discussione, sperando di stimolare delle riflessioni da parte di chi legge.
 
Trovo molto interessante la discussione, che tocca inevitabilmente materie diverse seppur collegate tra di loro. Indubbiamente la familiarità che un ascoltatore non "specifico" riconosce in una composizione di natura armonico-tonale è maggiore rispetto all'ascolto di una composizione non tonale, e anche l'adattamento culturale di cui l'uomo è capace richiede tempi eccessivi, se pensiamo che è passato un secolo dalle prime composizioni siffatte. Per fare un esempio, la coerenza interna di un brano costruito con forma canonica (o imitativa in generale) è molto più riconoscibile in ambito tonale rispetto alla stessa tecnica applicata, come del caso della dodecafonia "classica", in ambiti diversi. Anche in casi complessi, come canoni retrogradi o inversi, in cui non si percepisce esattamente la struttura, si ha un senso di ordine strutturale che ne permette la fruizione e il godimento nell'ascolto, mentre non si può dire lo stesso per composizioni dodecafoniche che trattano la serie nello stesso modo. Lo stesso si può dire per composizioni pre-tonali. Si ascolta con più smarrimento un mottetto di Ockeghem o uno dei cinque pezzi per orchestra di Webern?